Gioacchino Malavasi nacque a Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena, il 6 dicembre del 1903, da Virginio ed Esterina Guandalini, che mantenevano la famiglia con i proventi derivanti da una modesta azienda agricola condotta in affitto. Nell’ambiente di origine, maturò una «forte sensibilità sociale per le condizioni di estrema povertà» nelle quali versava il mondo rurale. M. conobbe e apprezzò Francesco Luigi Ferrari, impegnato nella Bassa modenese a tessere le fila del movimento sindacale bianco. Alla morte del padre, seguì il fratello a Milano, dove si iscrisse all’Università Cattolica del Sacro Cuore, laureandosi in Giurisprudenza. Nella Federazione giovanile diocesana dell’Azione cattolica, che lo annoverava come propagandista, conobbe Piero Malvestiti, con cui nel 1928 fondò nella città ambrosiana il Movimento guelfo d’azione, che rimase l’unica espressione di antifascismo organizzato in ambito cattolico. Il movimento si propose di promuovere forme di propaganda incentrate sull’educazione attiva delle masse. A partire dal maggio del 1931, nel clima di tensione per lo scioglimento dei circoli giovanili dell’Ac, i guelfi, attraverso i «gruppi irregolari» sorti localmente, passarono all’«azione pubblica», diffondendo una serie di volantini in tutto il paese. Gli apparati di polizia, dopo una vana ricerca, nel 1933 individuarono i vertici del movimento grazie all’infiltrazione di fiduciari nella centrale milanese di Giustizia e libertà, con cui i guelfi avevano avviato rapporti di collaborazione. Il Tribunale speciale emise una dura sentenza, che assunse un carattere esemplare per dissuadere altre frange del mondo cattolico: M. fu condannato a cinque anni di reclusione per aver «organizzato e diretto» un gruppo che svolgeva «attività diretta a deprimere e distruggere il sentimento nazionale», e per aver concorso ad alimentare, attraverso i «libelli» incriminati, un’«insidiosa attività di propaganda antinazionale». L’eco della condanna si riverberò anche nella cittadina natale, dove M. era «molto conosciuto». Un solido spessore umano e una forte tempra spirituale denotano le lettere mandate dal carcere di Fossano alla moglie Jacovella Marina Gnoli, sposata nel 1932.
Scontata la pena, nel 1938 i guelfi ripresero a incontrarsi, per poi allargare la cerchia dei contatti negli anni della guerra. Nel 1943 l’organizzazione, dopo aver contribuito alla fondazione, confluì nella Democrazia cristiana. M. fu tra i promotori, a nome del partito, del manifesto del Comitato delle opposizioni, lanciato il 27 luglio al paese, in cui si chiedeva la firma di un armistizio per raggiungere una pace onorevole e la costituzione di un governo rappresentativo della volontà nazionale. All’indomani dell’armistizio fu indotto a cercare la via di fuga in Svizzera, dove collaborò al foglio ticinese «Popolo e libertà» e partecipò alle attività politiche degli emigrati. Nel giugno del 1944, M. rientrò in Italia, per tentare di ricucire le tensioni prodottesi tra il gruppo dirigente della Dc che operava a Roma e il centro milanese. Nei mesi finali della guerra, fu incaricato dal Cln di tenere i collegamenti con i comandi alleati nelle retrovie della Linea gotica. Alla fine della guerra, M. fu designato commissario straordinario dell’Ente nazionale assistenza lavoratori, alla cui guida rimase fino al 1954, dopo essersi trasferito a Roma. Candidato alle elezioni per l’Assemblea costituente, pur riportando un alto numero di preferenze, non riuscì eletto. Al Congresso del 1948, fu tra i fautori della scissione delle correnti cattoliche e liberali dalla Confederazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, che deliberò l’appoggio al Fronte popolare. M. fu poi attivamente impegnato nell’Associazione partigiani cristiani, per tenere viva la memoria dell’antifascismo cattolico, ricoprendo la carica di vicesegretario e di vicepresidente. Dopo la chiusura dell’esperienza dell’ente pubblico, tornò a esercitare la professione forense in uno studio romano, dove, in quasi trent’anni di attività, si guadagnò l’appellativo di «avvocato dei poveri», per la disponibilità continuamente manifestata a patrocinare cause di clienti in difficoltà economica. Morì ad Assisi l’11 gennaio 1997.