Alberto Marvelli nacque a Ferrara il 21 marzo 1918 da Maria Mayr e Alfredo Marvelli, secondo di sei figli. A causa del lavoro del padre, dirigente di diverse banche nell’Italia settentrionale, la famiglia fu costretta a continui spostamenti nel corso del primo dopoguerra, dovendosi trasferire prima a Rovigo, poi a Ferrara e, infine, nella città di Rimini.
La parabola della vita di M. fu segnata fin da bambino dall’appartenenza all’Ac. Il padre fu dirigente degli Uomini cattolici e presidente della Conferenza di San Vincenzo della sua parrocchia, mentre la madre era attiva collaboratrice dell’oratorio salesiano, dove insegnava il catechismo e frequentava il gruppo Donne di Ac. Per questo motivo anche M. venne ben presto avvicinato agli ambienti dell’oratorio dei salesiani della parrocchia «Maria Ausiliatrice» di Rimini e, successivamente, iscritto al circolo della Giac «Don Bosco» dove, all’età di quindici anni, assunse la carica di delegato aspiranti. Ebbe quindi modo di essere inserito nel consiglio diocesano, guidato dall’assistente don Giuseppe Garavelli e da Luigi Zangheri, che gli affidò la segreteria diocesana. Nel corso del 1935 venne nominato delegato diocesano studenti e vice presidente diocesano arrivando poi, in questi anni, alla presidenza del circolo della parrocchia di «Maria Ausiliatrice».
Terminati gli studi giovanili e il ginnasio si iscrisse, nel corso del 1933, al liceo classico «Giulio Cesare» di Rimini. Conseguita la maturità, fece domanda per essere ammesso alla Regia accademia navale di Livorno nella quale però, per una lieve forma di astigmatismo, non fu accettato. Preso atto dell’impossibilità di percorrere questa via, decise di iscriversi alla Facoltà di Ingegneria meccanica dell’Università di Bologna. Negli anni che trascorse presso la città emiliana si impegnò nel locale circolo Fuci «Marcello Malpighi» in cui ebbe modo di intessere contatti con personaggi che si legheranno a doppio filo con il suo percorso nell’Ac, come Benigno Zaccagnini, Igino Righetti e Giovanni Bersani.
Nel periodo dei suoi anni universitari, si prodigò per aiutare le finanze familiari visto che, nel 1933, il padre era venuto improvvisamente a mancare a causa di una meningite. Lavorò dunque per breve tempo negli stabilimenti saccariferi della zona periferica di Bologna e, nel 1940, lavorò per tre mesi alla fonderia Bagnagatti di Cinisello Balsamo per approfondire alcuni aspetti legati alla preparazione della sua tesi di laurea. Per lo stesso motivo, soggiornò per un periodo a Ferrara e a Modena dove ebbe modo, dopo averne fatto richiesta, di visitare gli stabilimenti meccanici presenti nelle due città. Il 30 giugno 1941 terminò il suo percorso accademico con la discussione della tesi e il conseguimento della laurea in Ingegneria meccanica.
Dopo pochi giorni, M. fu richiamato per assolvere al suo servizio di leva e, il 7 luglio, venne assegnato, in qualità di allievo ufficiale, al 5° Centro automobilistico, VI compagnia di stanza a Trieste. Particolarmente difficile fu la sua permanenza sotto le armi e, per sopperire alle difficoltà che trovò nel curare la propria spiritualità nella vita di caserma, ben presto si preoccupò di costituire il cosiddetto «raggio», avvicinando altri giovani di Ac e organizzando periodici incontri per definire i piani di apostolato.
A seguito di una circolare ministeriale che indicava in due il numero massimo di componenti di un nucleo familiare sotto le armi, M., visto il contemporaneo impegno nel Regio esercito dei suoi fratelli Adolfo e Carlo, venne posto in congedo illimitato e, il 3 dicembre 1941, lasciò la caserma di Trieste per far ritorno a casa. Dopo un breve periodo di occupazione presso la fabbrica Fiat di Torino nel reparto dell’«ufficio tecnico autoveicoli ferroviari sperimentali», nel marzo del 1943 venne nuovamente richiamato, col grado di sergente, a prestare servizio militare e assegnato alla caserma di Dosson, in provincia di Treviso. Fu durante questi mesi che M., dopo aver conosciuto Carlo Carretto, venne ammesso tra le fila della Società operaia, sodalizio di consacrazione laicale fondato il 3 settembre 1942 da Luigi Gedda.
Durante il periodo trascorso alla caserma di Dosson, venne raggiunto dalla notizia della caduta del regime e dalla seguente firma dell’armistizio di Cassibile. Nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre, decise di far ritorno a casa e, prima che i tedeschi catturassero il suo reparto, si mosse per raggiungere i suoi familiari.
Il 1° novembre 1943, a seguito di un pesante bombardamento subito dalla città di Rimini, la famiglia di M. venne costretta a sfollare e a spostarsi nella vicina Vergiano. Nei mesi successivi, alla guida del gruppo di giovani di Ac del circolo parrocchiale e sostenuto dal presidente diocesano Zangheri, cominciò una difficile opera di assistenza verso la popolazione colpita dalle restrizioni dovute all’approssimarsi della linea del fronte. Con la volontà di non rispondere ai bandi di reclutamento che vennero periodicamente emessi dalla neonata Rsi e dalle forze di occupazione, ma temendo la deportazione in Germania, M. decise di accettare un posto tra gli operai della Todt, organizzazione paramilitare al servizio dei tedeschi per la realizzazione delle fortificazioni sulla cosiddetta linea Gotica. Si adoperò fin da subito per agire da «infiltrato» all’interno degli apparati burocratici nazisti. Potendo contare sulla laurea in ingegneria e sulla conoscenza del tedesco non ebbe difficoltà ad assumere un ruolo direttivo e, ottenuto un lasciapassare per potersi muovere liberamente nel territorio riminese, spese la sua opera per evitare deportazioni e internamenti di giovani militari italiani renitenti alla leva e la cattura di partigiani, ai quali sovente forniva documenti falsi e certificazioni di occupazione nella Todt.
Fu lui stesso, in uno scritto successivo, a specificare la sua scelta di non unirsi alle formazioni partigiane per la ferma idea che «per salvare la Patria dalla distruzione occorrono non i cannoni, non le baionette, ma la grazia di Dio, la purezza, santità e coscienza»; questa convinzione fu probabilmente alla base della sua scelta quando dovette decidere se entrare tra le fila della Resistenza o mettersi al servizio degli sfollati e dei più bisognosi della città. Non mancò, tuttavia, di fornire informazioni utili alle attività del movimento resistenziale e di consegnare ai partigiani i piani di fortificazione militare che i tedeschi stavano approntando lungo la linea Gotica.
La fitta rete di salvataggio facente capo a M. venne individuata dai comandi tedeschi nel corso dell’estate del 1944 e, nel mese di luglio, fu posto in stato di arresto e rinchiuso in una corderia di Viserba in attesa di essere spedito al campo di raccolta di Bolzano. Dopo diversi giorni di prigionia, riuscì a incontrarsi con Zangheri e a consegnargli un timbro della Todt con il quale gli chiese di produrre un falso ordine di rilascio. Al momento della sua liberazione, preoccupato per i compagni che erano stati catturati insieme a lui, si recò alla stazione di S. Arcangelo e riuscì ad aprire un vagone già piombato e a far fuggire le persone che erano stipate al suo interno in attesa di essere inviate verso il capoluogo altoatesino.
Per questo suo continuo adoperarsi in favore della Resistenza e della popolazione di Rimini, il 23 settembre, al momento della liberazione della città, venne invitato a far parte della Giunta comunale designata dal Cln e guidata dal socialista Arturo Clari. Venne quindi nominato prima presidente della commissione edilizia comunale, che aveva il compito di provvedere alla sistemazione abitativa del gran numero di sfollati presenti nel territorio, quindi della commissione comunale alloggi e, in qualità di ingegnere, venne anche deputato come responsabile del Genio civile locale. All’inizio del 1945, divenuto membro delle Acli, venne avvicinato da Zaccagnini che, dopo avergli proposto di far parte della Dc, lo propose come membro del comitato provinciale del partito.
In questo periodo, lasciata la guida del circolo parrocchiale di Ac, venne nominato dal vescovo Luigi Santa presidente del Movimento Laureati di Azione cattolica e delegato regionale degli studenti medi. In questa veste ebbe modo di conoscere, durante alcune conferenze da lui stesso organizzate, personalità quali Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira e Guido Gonella.
Il 5 ottobre del 1946, mentre era diretto a un comizio che avrebbe dovuto tenere a S. Giuliano a Mare in vista delle elezioni amministrative del giorno successivo, fu investito da un camion militare guidato da alleati, che lo colpì al capo con il gancio di una sponda laterale lasciandolo a terra senza vita.
Il 1º marzo 1968 fu avviata la causa di beatificazione di M. e la sua salma traslata dal cimitero comunale alla chiesa di Sant’Agostino a Rimini. Nel 1986 Giovanni Paolo II lo dichiarò venerabile e il 5 settembre 2004, a Loreto, in località Piana di Montorso, in occasione del grande convegno dell’Ac per il rinnovamento dei programmi e per l’incontro con il papa, lo proclamò beato, sottolineando la sua costante opera di soccorso e assistenza nei confronti delle famiglie di Rimini toccate dalla durezza dell’occupazione tedesca e il suo coraggioso impegno a favore della popolazione descrivendolo come un «giovane forte e libero, generoso figlio della Chiesa di Rimini e dell’Azione Cattolica».