Raffaele Persichetti nacque a Roma il 12 maggio 1915 da Giulio e Amalia Alliata. La famiglia era di antiche tradizioni cattoliche tanto che il nonno paterno, Augusto Persichetti, era stato presidente della Sgci dal 1881 e il 1886, mentre quello materno, l’avvocato Guglielmo Alliata, assunse la stessa responsabilità dal 1888 al 1892. Il padre, noto medico-chirurgo della capitale, fu un reduce pluridecorato della Prima guerra mondiale e anch’egli fervente cattolico non piegò mai la testa davanti alla dittatura fascista, rifiutando a più riprese la tessera del Pnf e, per questo motivo, subendo minacce e persecuzioni per il suo atteggiamento intransigente.
In questo contesto, P. attese agli studi elementari frequentando le scuole presso le Suore francesi della Divina provvidenza e, una volta terminate, si iscrisse prima al ginnasio all’Istituto E.Q. Visconti, quindi al liceo dell’Istituto pontificio di Sant’Apollinare. Conseguì la maturità classica da privatista all’Istituto T. Mamiani della capitale e, quindi, volle continuare gli studi nella Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, dove si laureò nel 1937 ottenendo il massimo dei voti. Fu in questi anni di formazione che decise di prendere parte alle attività del vivace circolo della Fuci presente nell’ateneo romano.
Discussa la tesi, dovette rispondere alla chiamata alle armi per assolvere agli obblighi di leva. Nel maggio del 1938 si vide nominato sottotenente del 1° Reggimento granatieri di Sardegna e concluse il servizio di prima nomina nell’agosto dell’anno successivo. Durante il periodo militare ebbe diversi commenti positivi sul suo contegno in ogni frangente e sulla completezza della sua preparazione, ultimo dei quali quello del capitano Ottorino Campagna che di lui, tra l’altro, disse: «Ha vasta, eclettica, elevata cultura che gli permette di spaziare in ogni campo; conosce, tra l’altro, ottimamente il francese, il tedesco e lo spagnolo. Tale cultura, unita alle elette doti morali, fanno guardare a lui con ammirazione. Il carattere adamantino, la forza d’animo, lo spirito di sacrificio che non lo farebbe arrestare di fronte a nessun ostacolo, le elette doti intellettuali fanno di lui un Ufficiale veramente distinto. Egli ha veramente le doti del trascinatore. Lo giudico un ottimo Sottotenente di complemento».
Specializzatosi in storia dell’arte, dal 1939 trovò occupazione come docente di questa materia negli istituti romani E.Q. Visconti e San Giuseppe – De Merode. Negli anni ebbe modo di approfondire gli studi umanistici con particolare predilezione per il campo letterario e artistico, oltre che, grazie anche ai viaggi che ebbe modo di compiere in diverse nazioni europee, allo studio di lingua e letteratura francese, tedesca e spagnola. A questi interessi così eterogenei unì la cura della sua passione per l’arte, pubblicando diversi articoli di critica per riviste specializzate e saggi in volumi accademici.
Come il padre, a lungo contrastato nella sua attività professionale a causa della sua avversione al regime, anche P. espresse a più riprese la propria contrarietà alla linea tenuta dal governo di Mussolini e, per questo, ebbe diversi motivi di frizione con le autorità pubbliche e scolastiche dovendo rispondere delle sue idee. Già nel 1932, ad esempio, scrisse una nota in occasione di una grande adunata organizzata dagli intellettuali italiani del 1° ottobre all’Augusteo di Roma per onorare il decennale della rivoluzione fascista, in cui non fece mancare duri attacchi: «Buffoni! Per dieci anni hanno mantenuto la stessa ipocrisia. E per dieci anni un popolo intiero di stomachi vili ha detto di sì e sì e sì. Miserabile vita! A poco a poco rimango solo. Ma finirà male. Finirà che un giorno o l’altro mi ribello agli uomini e alla vita. Mio Dio perdonami! Fa che io non mi ribelli mai alla tua legge». Culmine di tale contrasto si evidenziò nel mese di maggio del 1940, quando nel corso di una sua lezione al liceo E.Q. Visconti non volle permettere agli alunni di partecipare, durante le sue ore di docenza, a una grande manifestazione studentesca organizzata dagli apparati giovanili del regime. Per questo suo diniego venne raggiunto da alcuni graduati della milizia fascista che, armati, irruppero nelle aule del liceo per costringere i professori che non avevano dato la propria approvazione all’uscita anticipata dei ragazzi. P., infastidito dall’atto di violenza, reagì bruscamente alle minacce lanciate dal gruppo verso il professore di religione dell’Istituto, padre Antonio Giorgi, costringendo i militi fascisti a uscire dalle sale della scuola ma venendo raggiunto da una manganellata alla testa che lo lasciò tramortito.
All’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, P. venne richiamato sotto alle armi e partecipò alle operazioni di guerra che si svolsero sulla frontiera alpina occidentale e successivamente, dal gennaio del 1941, si vide trasferito al fronte greco. Alla guida del proprio plotone prese parte a diversi combattimenti fino a che, duramente colpito nel corso di una battaglia, fu dichiarato invalido e collocato in congedo assoluto dall’8 maggio del 1942, facendo ritorno nella capitale con la possibilità di riprendere la propria attività professionale. Fu in questo periodo che, confermando la sua avversione verso la guerra proclamata dal regime, decise di aderire al neonato Pd’A divenendo uno degli animatori delle attività clandestine della sezione romana del partito.
Alla firma dell’armistizio di Cassibile, i tedeschi presenti in forze nella capitale decisero di sfruttare il momento di incertezza dovuto alle ambigue direttive dei comandi militari italiani e di muoversi immediatamente per occupare quelle zone strategiche ritenute indispensabili per ottenere una posizione di forza. Già l’8 settembre, infatti, diedero avvio al tentativo di sfondamento nel settore di Porta San Paolo per assicurarsi una rapida penetrazione nel centro di Roma. A tale pressione portata dagli ex alleati si oppose un reparto dei Granatieri di Sardegna, uno dei Lancieri di Montebello, alcune formazioni di carristi, squadre del Genova Cavalleria e, infine, alcuni reparti di carabinieri. Ritenendo molto valido questo tentativo di resistere all’avanzata germanica, P. volle dare il suo contributo e si attivò affinché anche i civili prendessero posizione accanto ai soldati nel primo combattimento che li avrebbe visti di fronte alle forze naziste. Recatosi alla caserma di piazza Santa Croce in Gerusalemme ove era di stanza il 1° Reggimento granatieri, cercò di unire le fila dei soldati che si stavano sbandando a causa della mancanza di ordini univoci e, raggruppato un buon numero di persone, si presentò in abiti civili presso Porta San Paolo dove era già in atto lo scontro. Qui ebbe il compito dal colonnello Mario Di Pierro di comandare un plotone e, nel corso della battaglia, ebbe modo di prodigarsi a lungo anche nel recupero dei feriti, condividendo il campo con Adriano Ossicini. Raggiunto da una raffica di mitra non lasciò la sua posizione fino a quando, colpito nuovamente, rimase a terra senza vita.
Alla memoria del suo sacrificio, il 15 febbraio venne conferita la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di tenente di complemento del 1° Reggimento Granatieri di Sardegna, che venne consegnata tre giorni dopo dal ministro della Difesa Alessandro Casati al padre di P., con la seguente motivazione: «Ufficiale dei granatieri invalido di guerra all’atto dell’armistizio con gli alleati si schierò generosamente e volontariamente contro lo oppressore tedesco, favorendo ed organizzando la partecipazione di suoi amici e della popolazione alla lotta armata della Capitale. In abito civile e sommariamente armato accorse poi sulla linea di fuoco dei suoi granatieri schierati in battaglia contro superiori forze tedesche, Prode fra i prodi incitò con la parola e con l’esempio i commilitoni all’estrema resistenza fino a che colpito a morte immolava la sua giovane vita nella visione della Patria rinata alla libertà. — Roma, Porta San Paolo, 8-10 settembre 1943».