Enrico Pocognoni nacque il 6 febbraio del 1912 a Differdange, cittadina industriale nel sud del Lussemburgo, dove la famiglia era emigrata alla ricerca di una migliore condizione economica. A causa della prematura morte del padre, caduto al fronte nella I Guerra mondiale, P. dovette ben presto far ritorno in Italia con la madre perché non era più possibile sostenersi all’estero. Giunti nella Marche per ricongiungersi ai parenti, il giovane fu ammesso a proseguire gli studi nel seminario di Fabriano e, successivamente, in quello di Fano.
Ordinato sacerdote il 22 aprile del 1935, fu nominato viceparroco della concattedrale di Santa Maria Assunta della cittadina di Matelica, in provincia di Macerata. Dal 1935 al 1943, inoltre, si spese assiduamente per organizzare e coordinare le attività del locale circolo della Giac. Il rapporto che riuscì a stabilire con i giovani dell’associazione non si interruppe nemmeno con la partenza per il fronte di molti ragazzi che, dalle più disparate destinazioni, non mancavano mai di inviargli missive per avere notizie della vita del circolo. In questi anni, a sottolineare il suo costante impegno in ambito giovanile, egli assunse anche il compito di insegnante di religione nella scuola tecnica industriale Filippo De Sanctis che il 12 aprile del 1945, per decreto del ministro per la Pubblica istruzione, verrà intitolata a suo nome.
Nominato canonico della cattedrale, il 28 febbraio del 1943 gli venne affidata la parrocchia di Braccano, frazione di Matelica, dove volle fondare subito un circolo della Giac per proseguire la sua opera a favore dei giovani di Azione cattolica. Fu in questa destinazione che P. venne raggiunto dalla notizia della ratifica dell’armistizio di Cassibile che poneva ufficialmente fine alle ostilità con le forze angloamericane già presenti nel sud della penisola ma, allo stesso tempo, lasciava drammaticamente il campo all’occupazione dell’Italia centrale e settentrionale da parte delle truppe tedesche. Nelle complesse giornate successive all’8 settembre, il sacerdote vide affluire diversi soldati sbandati, prigionieri inglesi in fuga e ricercati politici che tentavano di nascondersi nelle vicinanze dell’antica abbazia di Roti, nel territorio della sua parrocchia. Animato dalla volontà di assicurare assistenza a tutte queste categorie di persone, egli si impegnò a prestare soccorso a quanti chiedevano il suo aiuto e, inoltre, in continuo contatto con il Cln locale, attivò canali sicuri per permettere ad essi una via di fuga verso l’Italia liberata.
Nel corso dell’inverno, inoltre, don P. non fece mai mancare l’assistenza spirituale alle bande partigiane operanti nella zona e si spese per nascondere nella sua canonica armi e munizioni che provenivano dagli aviolanci alleati. La sua opera non tardò ad attirare il sospetto degli apparati di controllo nazifascisti e, infatti, venne arrestato nel novembre del 1943 perché accusato di collusione coi partigiani. Dopo pochi giorni, dato che le prove a suo carico si rivelarono piuttosto scarse, fu rilasciato su pressione del capo della provincia di Macerata che, però, volle che giurasse davanti a lui di limitare la sua opera al solo ministero sacerdotale.
La mattina del 24 marzo 1944, nell’ambito di una massiccia operazione di rastrellamento condotta nella zona del San Vicino, le forze nazifasciste accerchiarono la frazione di Braccano, chiudendo ogni strada di accesso al paese e impedendo alla popolazione di darsi alla fuga. Terrorizzati dai movimenti delle truppe tedesche e repubblichine, gli abitanti del paese cercarono di scappare nella vicina Vinano e, con loro, si mosse anche don P. che seguì da subito il flusso dei parrocchiani. Fermatosi a soccorrere un uomo colto da malore, venne avvistato dai fascisti, che nel frattempo avevano avuto modo di perquisire la canonica e di trovare conferma delle prove della sua collusione con il movimento resistenziale, e immediatamente raggiunto e catturato. Duramente percosso e costretto a tornare verso il centro di Braccano, fu deriso dai militi della Gnr che gli intimarono di togliersi le scarpe e marciare intonando il ritornello di «Giovinezza». Giunti nei pressi di un campo agricolo, il sacerdote venne sottoposto a un pressante interrogatorio per fargli confessare la sua opera in favore dei partigiani e i nominativi dei responsabili delle brigate che operavano nella zona. Trincerato dietro un ostinato silenzio, P. fu nuovamente percosso e seviziato fino a quando, convinti di non poter fargli rivelare alcunché, gli aguzzini lo costrinsero a forza a camminare davanti e loro e, quindi, lo colpirono alla schiena con una raffica di mitra.
Il comando tedesco, responsabile dell’operazione di rastrellamento, proibì alla popolazione di organizzare funerali pubblici e la salma venne trasportata in incognito al cimitero di Matelica, in modo che nessuno sapesse dove sarebbe stato seppellito il sacerdote. Il 26 febbraio del 1969 il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat conferì alla memoria di P. la medaglia d’oro al valor civile con la seguente motivazione: «Parroco in una località in territorio invaso da truppe di occupazione, si prodigava infaticabilmente in una generosa ed intrepida opera di apostolato intesa ad alleviare le sofferenze della popolazione locale. Fervido animatore della Resistenza veniva arrestato, nel corso di una rappresaglia, e sopportava con dignità e fermezza maltrattamenti e sevizie pagando con la vita la sua dedizione ai più nobili ideali. Matelica (Macerata), 1943-1944».