Angelo Ricapito nacque il 6 ottobre del 1923 a Giovinazzo, in provincia di Bari, da Gaetano e Maria Milillo. La famiglia, per esigenze lavorative del padre, dovette ben presto trasferirsi a Zara, nella Dalmazia centrale, dove R. trascorse la giovinezza attendendo agli studi elementari, medi e, successivamente, frequentando l’istituto tecnico commerciale presente in città. Nel corso degli anni, inoltre, egli volle iscriversi e prendere parte alle attività del locale circolo della Giac.
Terminato il percorso scolastico e ottenuto il diploma, venne chiamato per assolvere gli obblighi di leva. Arruolato nel corpo della Regia aereonautica, si vide assegnato al centro di istruzione attivo presso San Pietro di Gorizia e, ultimato con successo il corso di formazione, prese servizio nel battaglione presidiario di Padova. In questo contesto fu raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, nell’agosto dello stesso anno, ricevette ordine di trasferimento all’aeroporto di Zemonico, nel territorio della Jugoslavia occupata.
All’atto della firma dell’armistizio di Cassibile, che poneva fine alle ostilità con gli angloamericani ma lasciava drammaticamente aperto il nodo circa i rapporti da mantenere con l’ex alleato germanico, il giovane, visto lo sbandamento del suo reparto e la generale confusione creata dagli ambigui ordini dei comandi militari italiani, decise di abbandonare il proprio posto e di raggiungere la famiglia a Zara, dove rimase in uno stato di dichiarata incertezza per i successivi cinque mesi. Nel marzo del 1944, stanco di essere spettatore esterno degli eventi che portarono all’occupazione, cominciò ad intessere i primi contatti col movimento resistenziale che si era sviluppato nel territorio nazionale e, attraverso alcuni amici, si recò ad Arezzo per unirsi alle bande di partigiani che operavano tra la Valdichiana e la Valtiberina, sull’Appennino toscano.
Distintosi fin da subito per audacia e lealtà alla causa, R. venne chiamato a far parte della compagnia di comando del II battaglione della 23ª brigata Pio Borri, comandata da Aldo Verdelli. A seguito di una riorganizzazione della formazione, che si inserì tra le fila della divisione Arezzo, egli fu nominato vice comandante, con grado equiparato a quello di capitano, della brigata. In questo ruolo, dopo diverse operazioni da lui coordinate, fu incaricato della sorveglianza dei prigionieri tedeschi e fascisti che erano stati concentrati nel campo di Marzana e, quindi, di scortarli con il suo gruppo a Cortona, per consegnarli alle truppe alleate già arrivate nella zona.
Terminata con successo questa missione, il 14 luglio del 1944 egli si trovava accasermato con i suoi uomini in località Molin dei Falchi, in provincia di Arezzo, in attesa di far ritorno al comando partigiano. In questo luogo di passaggio, però, il gruppo fu raggiunto dal 274° reggimento corazzato della 94ª Infanterie-Division che, impegnato in una vastissima opera di rastrellamento, decise di ingaggiare battaglia per liberare dei commilitoni che erano stati fatti prigionieri nelle giornate precedenti. Al termine del combattimento, che vedeva la formazione partigiana in evidente inferiorità numerica, vennero catturati dai tedeschi quarantanove persone tra le quali vi fu anche R. Riconosciuto come uno dei responsabili, venne a lungo seviziato e torturato per indurlo a rivelare qualche informazione che potesse essere utile ai suoi aguzzini e per individuare la cellula di Resistenza attiva nell’aretino ma il giovane non si piegò ai tentativi di violenza e si trincerò dietro un ostinato silenzio.
Terminati i sommari interrogatori, il sergente alla guida delle operazioni di rappresaglia ordinò a quanti erano stati fermati di muovere in marcia verso San Polo di Arezzo, scortati a vista da una pattuglia di militi nazisti. Giunti a destinazione, ai condannati fu comandato di scavarsi una fossa comune, dove, al termine del lavoro, l’ufficiale tedesco e alcuni suoi uomini intimarono loro di entrare. A nulla valse, in questo contesto, il tentativo di ribellione da parte di Mario Sbrilli – anche lui socio di Ac e futura medaglia d’oro al valor militare – che fu colpito da una raffica di mitraglia mentre cercava di raggiungere i militari teutonici per farli desistere dal loro intento. Il reparto tedesco, dopo aver tramortito i prigionieri con colpi di frusta e cinghie, procedette alla sepoltura del gruppo di prigionieri ancora vivi nella fossa comune e, terminata l’operazione, fece esplodere l’area con l’utilizzo di bombe a mano, ponendo così fine all’eccidio che, nel dopoguerra, fu ricordato come la strage di San Polo.
Con decreto del presidente della Repubblica del 1° settembre 1947, segnalato nella «Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana» dell’11 gennaio 1949, alla sua memoria venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di aviere scelto e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Eletto vice comandante di Brigata partigiana in riconoscimento del valore dimostrato nei momenti più critici della lotta, sfidò per oltre dieci mesi la morte tesa in agguato. Dopo un violento combattimento protrattosi per alcuni giorni contro soverchianti forze nemiche, rimasto isolato con pochi uomini a sostenerne l’attacco, riusciva a sganciare i superstiti e ad attraversare con essi la linea del fronte portando prigionieri e bottino. Volontario per rischiosa missione presso la sua Brigata nuovamente impegnata dal nemico, assolveva il compito fra gravi pericoli e, accerchiato col suo comando, dopo eroica lotta, cadeva nelle mani dei suoi aguzzini. Sottoposto a barbare torture non faceva alcuna rivelazione ed il suo corpo piagato e straziato veniva sepolto ancor vivo, elevando col suo martirio la morte ad inno di gloria. Arezzo, Alpe di Catenaia, Monte Favalto, San Polo, 1° ottobre 1943 -14 luglio 1944».