Nato a Modena il 9 luglio 1894, primogenito dei dodici figli di Giuseppe e Maria Parenti, appartenenti alla borghesia cattolica geminiana, Alessandro Coppi, dopo aver completato gli studi liceali, nel 1912 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del capoluogo, partecipando attivamente alle attività della Fuci. Lo spazio di impegno più significativo, tuttavia, lo trovò nell’area appenninica, dove si fece promotore di diverse realtà associative a carattere religioso, culturale e sociale, che trovarono una cassa di risonanza nel settimanale cattolico «Il Frignano», che cominciò a uscire a partire dal 1913 sotto la sua direzione effettiva. Il foglio raccolse idealmente gli ideali democratici cristiani di inizio ‘900, sostenendo la causa del «popolo lavoratore» contro le deformazioni della propaganda socialista e soprattutto la cappa della «tirannide» massonica, che gravava sulle possibilità di sviluppo dell’Appennino attraverso il controllo clientelare. Mobilitato nel 1915 come ufficiale di fanteria, C. impresse una svolta all’indirizzo inizialmente neutralista del «Frignano», che, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, appoggiò lo sforzo della nazione in chiave patriottica. Nel 1919 fu tra i più convinti sostenitori del progetto politico sturziano, condensato nell’appello ai «liberi e forti», che segnò la nascita del Partito popolare italiano. Al II Congresso della neonata formazione politica, celebrato nel 1920, fu eletto alla segreteria provinciale. Sotto la sua guida, il Ppi conobbe una diffusione capillare nell’intera provincia, raggiungendo rapidamente i 3.000 iscritti e cercando al contempo di acquisire una fisionomia politica e una caratura programmatica che lo liberassero dalle scorie del clerico-moderatismo. Il «Frignano» si trovò in prima linea nel contrastare i «metodi gentiloniani» in vista delle elezioni amministrative, sposando la linea «progressivamente riformatrice» risultata vincente all’assise, lontana quindi sia dalle suggestioni socialiste, sia dalla «teoria liberale». L’orientamento di fondo si palesò nella sollecitazione del segretario a «sostenere un programma, chiaro, preciso di riforme e di progresso civile» nei comuni, soffocati «dalla tutela e dalla invadenza governativa», per perseguire un autentico rinnovamento delle comunità locali. La vittoria popolare in larga parte dei centri dell’Alto modenese, accompagnata dalla sconfitta della coalizione clerico-moderata nel capoluogo, rafforzò questa linea, che, tuttavia, venne messa duramente alla prova dall’ascesa del fascismo. Di fronte al movimento mussoliniano, il Ppi fu indotto a chiarire le posizioni interne: l’assoluta intransigenza della tendenza di sinistra incarnata da Francesco Luigi Ferrari fu mitigata dalla posizione della maggioranza centrista di C., che si riconobbe nella linea della segreteria nazionale: le differenziazioni non toccarono tanto l’asse ideologico su cui era venuto definendosi il popolarismo, quanto piuttosto il giudizio storico sulla natura del fascismo. Il segretario provinciale, infatti, pur censurando fermamente l’«ambiente saturo di odio» creato dallo squadrismo, nel corso del 1922 fu possibilista sull’evoluzione del Partito nazionale fascista, con il quale, se fosse rientrato «nell’orbita della legge», non escludeva che si «po[te]ss[e] fare della strada insieme». La marcia su Roma spazzò via le residue illusioni sulla possibilità di incanalare nell’alveo costituzionale il movimento mussoliniano. Alle elezioni amministrative del 1922, precedute da un clima di incontrollate intimidazioni, prevalse, infatti, la linea suggerita da Ferrari, il quale, constatando le oggettive condizioni dell’ordine pubblico che esponevano i militanti alle rappresaglie dello squadrismo, indusse il partito ad astenersi dalla competizione. Commentando la decisione assunta dagli organismi dirigenti del partito, C. sottolineò vibrantemente il valore simbolico della scelta: «Ci ritiriamo perché non vogliamo opporre bastonate a bastonate, olio di ricino a olio di ricino; ci ritiriamo perché le elezioni sono concepibili ed hanno un valore solo in regime di libertà» («Il Frignano», 3 dicembre 1922). In questo contesto, C. nel 1923 preferì cedere il testimone della guida del partito, per poi assumere l’incarico di presidente della sezione cittadina di Modena, togliendola dalle secche organizzative in cui era precipitato. Il rallentamento dell’attività politica gli permise di conseguire anche la laurea in Scienze sociali all’Istituto superiore «Cesare Alfieri» di Firenze. Nel 1924, dopo che la stampa cattolica, interprete dell’orientamento prudenziale della Santa Sede, abbandonò al suo destino il Ppi, C. promosse insieme a Ferrari un foglio autonomo significativamente intitolato «La Voce popolare»: dalle colonne del giornale, rimasto il solo strumento di propaganda a disposizione, fu sostenuta la sua candidatura per le elezioni politiche del 1924, che, dopo lo strappo inferto al sistema elettorale dalla legge Acerbo, acquisì il valore di testimonianza morale. In seguito alla prova elettorale, che, comunque, mostrò una sorprendente tenuta dell’organizzazione, C. tornò alla segreteria del partito, che orientò su una linea di aperto e indefettibile antifascismo, esemplarmente espressa dal grido lanciato dalle colonne della «Voce popolare», all’indomani del delitto Matteotti, contro chi intendeva passare sotto silenzio l’accaduto: «La verità è molto semplice: chi tace o vorrebbe far tacere si rende complice, volontario o no, poco importa, dei facinorosi e dei delinquenti» («La Voce popolare», 6 luglio 1924). La netta presa di posizione fece da preludio al sequestro continuo dei numeri del giornale: C., che assunse formalmente la direzione, ne divenne anche di fatto «redattore, amministratore e propagandista appassionato». Per un anno il foglio rimase l’unica voce pubblica dell’opposizione al fascismo, attraverso la quale si chiamarono a raccolta i militanti nel disperato tentativo di non disperdere l’eredità del popolarismo: «Vogliamo che voi tutti amici ci stiate vicini nella lotta, ci aiutiate e ci sosteniate perché bisogna resistere […] e non si resiste e non si vince senza l’unione, senza la collaborazione, senza la fatica e il sacrificio di tutti» («La Voce popolare», 24 maggio 1925). L’appello assunse una valenza simbolica dopo la sterzata delle «leggi fascistissime», che segnarono l’avvento della dittatura. La liquidazione della libertà di stampa e la soppressione dei partiti costrinsero gli esponenti popolari a scelte individuali: C., rimanendo «fermo nei suoi principi», dopo la diffida subita nel 1926 si ritirò a vita privata, per dedicarsi pienamente alla professione forense, senza, comunque, iscriversi al sindacato fascista degli avvocati e dei procuratori. Nel suo studio, con una certa frequenza, convocò il «cenacolo» dei vecchi amici popolari con i quali si confrontava sull’evoluzione politica del contesto nazionale e internazionale. Tenuto sotto stretta sorveglianza dagli organi di polizia lungo tutto il ventennio, ancora nel 1940 gli informatori del regime comunicarono ai superiori che l’ex-segretario del Ppi modenese «non ha dato prove sicure di sincero ravvedimento, per cui viene tuttora convenientemente vigilato». All’indomani della caduta del fascismo, C. fu contattato, tramite l’amico popolare Attilio Bartole, dal comunista Carlo Baroni, per entrare, in rappresentanza del mondo cattolico, nel comitato interpartitico «Italia Libera», che, al di là dei suoi limiti, rappresentò il primo tentativo di creare una base condivisa tra le forze antifasciste modenesi. L’impossibilità dell’ultimo segretario del Partito popolare di poter garantire un coinvolgimento pieno dell’universo cattolico in questo organismo rappresentava la spia più evidente delle difficoltà incontrate nel riorganizzare le fila disperse nel «lungo viaggio» attraverso la ventennale dittatura. Insieme all’amico Alfonso Tacoli, C. fu, comunque, impegnato nella commissione interpartitica che si occupò della sistemazione e del trasferimento dei prigionieri alleati evasi dai campi di prigionia in seguito all’armistizio dell’8 settembre. Dopo la costituzione anche a Modena del Comitato di liberazione nazionale, formatosi nell’ottobre del 1943, l’ultimo segretario del Ppi assunse al suo interno la rappresentanza cattolica. C. fu anche impegnato in una serie di incontri presso i locali della parrocchia di San Biagio con il gruppo di giovani raccolto attorno a Ermanno Gorrieri, per gettare le basi dei principi ispiratori e del programma della Democrazia cristiana. Si deve, in particolare, a lui l’elaborazione di uno scritto programmatico, che fino all’arrivo a Modena delle Idee ricostruttive, ispirate da De Gasperi, costituì la bussola di orientamento a livello locale per il partito. Fu nel fuoco della lotta resistenziale che maturò la fisionomia della Dc: «Non è vero – si trova scritto in un documento diffuso nell’autunno del 1944 ad opera probabilmente del vecchio leader del popolarismo modenese – che siamo il “partito dei ricchi”, cioè il partito conservatore e capitalista che si contrappone al comunismo; quel che ci divide dal comunismo è il programma materialista, antireligioso, antidemocratico e totalitario oltre ai metodi rivoluzionari di lotta; non è il programma di rinnovamento sociale ed economico in favore delle classi lavoratrici. Nessuno perciò si illuda di potersi appoggiare a noi, come un tempo al fascismo, per salvare i suoi privilegi». Con il nome di battaglia di «Tommaso», C. fu designato alla guida del Cln, all’interno del quale cercò di garantire la sintesi delle posizioni anche sensibilmente differenti tra le forze politiche rappresentate, per «ad ogni patto salvare l’unità». Arrestato nel marzo del 1945, all’indomani della liberazione fu formalmente eletto alla presidenza dell’organismo, adoperandosi per garantirne gli effettivi poteri di coordinamento politico rispetto ai centri comunali e per favorire la ricostruzione del tessuto morale e materiale del territorio, lacerato dal prolungato stato di occupazione nazista. Difendendo continuamente fino al suo scioglimento le prerogative del Cln, C. si espose contro gli «atti arbitrari e ingiustificabili» che turbavano l’ordine pubblico, per recuperare la normalizzazione del clima politico nell’alveo dei nuovi istituti democratici. Designato alla presidenza della Dc ed entrato nel Consiglio comunale del capoluogo, dove fu nominato anche capogruppo democristiano, dopo una campagna elettorale apertamente spesa in favore della tesi repubblicana, fu eletto alla Costituente con un rilevante numero di preferenze. In assemblea, il suo apporto si limitò a proposte di emendamento al testo che definiva la partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia. Eletto alla Camera nel 1948, nel corso della legislatura fece parte della Commissione difesa, di cui nel 1949 divenne anche segretario, e nel 1951 ricoprì la carica di presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere. La sua attività parlamentare si concentrò prevalentemente in iniziative tese a promuovere gli interessi della comunità locale. Il crescente peso assunto dalle correnti interne fu la causa della mancata conferma nella tornata elettorale del 1953. La nomina alla presidenza della Cassa di risparmio di Modena non valse a mitigare l’amarezza per la sconfitta subita. Sempre più defilato dalla vita di partito, C. nelle manifestazioni pubbliche continuò a offrire testimonianza ai valori della Resistenza, partecipando anche alle manifestazioni del 25 aprile, alle quali la maggioranza degli esponenti democristiani non presenziava. In seguito all’aggravamento di una malattia che non gli diede scampo, morì il 30 agosto 1956. Ai funerali la bara fu avvolta dalla bandiera del Ppi, che aveva gelosamente custodito durante la dittatura fascista.
Coppi Alessandro
Nome: Alessandro
Cognome: Coppi
Nome di battaglia: Tommaso
Luogo di nascita: Modena
Data di nascita: 09/07/1894
Luogo di morte: Modena
Data di morte: 30/08/1956
Ramo di Azione cattolica:
Partito politico:
Sommario
Note biografiche
Fonti e bibliografia
- Acs, Casellario politico centrale, b. Alessandro Coppi.
- Pier Paolo Severi, Ricordo dell’avvocato Alessandro Coppi, Democrazia cristiana, Modena s.d.
- Paolo Trionfini, Dall’«Italia dei notabili» alla «Repubblica dei partiti»: l’itinerario di Alessandro Coppi, in Alessandro Coppi. L’impegno di un modenese, Comune di Modena-Provincia di Modena, Modena s.d. [2006], pp. 9-25.
- Paolo Trionfini, Coppi, Alessandro, in M. Losi, F. Montella, C. Silingardi (a cura di), Dizionario storico dell’antifascismo modenese, vol. II, Biografie, Unicopli, Milano 2012, pp. 113-116.