Armando Marizza nacque a Gradisca d’Isonzo (Go) il 19 maggio 1921 da Guido e Antonia Ritossa, custodi della locale casa di riposo. La madre voleva che il figlio divenisse sacerdote e lo mandò a studiare nel seminario di Gorizia. Tuttavia, la sua strada non era quella ecclesiastica e perciò, dopo la maturità classica a Gorizia, si diplomò all’Accademia di Belle arti a Venezia.
In parrocchia frequentava il circolo Giac «San Marco».
Fu chiamato alle armi il 21 gennaio 1942, arruolato nel 23° reggimento di fanteria “Como” e collocato nella caserma a Gradisca. Il 15 febbraio 1943 fu trasferito all’XI Battaglione di istruzione e il 30 aprile di quell’anno ottenne il grado di caporale. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo trovò con il suo reparto a Porcari, in Toscana, e con mille peripezie fece ritorno a Gradisca.
L’anno seguente entrò nella Resistenza, con il nome di battaglia di «Censor». Il 15 febbraio 1945, dopo la messa domenicale, assieme all’amico Antonio (Toni) Carletto (anche lui della Giac e partigiano), si recò nella cappella del cimitero di via degli Eroi dove funzionava un ciclostile clandestino. Stampato un pacco di volantini da spargere presso le caserme tedesche, i due portarono il materiale a casa di M., dove trovarono la madre in lacrime perché i repubblichini, che lo volevano arrestare, non avendolo trovato avevano portato via il padre Guido. M. andò a costituirsi e il padre venne rilasciato. Iniziò così la sua prigionia (assieme ad altri sette partigiani): vennero prima rinchiusi a Gorizia, poi nella fortezza di Palmanova, infine nel castello di Gradisca, per essere liberati a guerra finita il 28 aprile 1945. M. salì sulla sommità del castello per sostituire la bandiera tedesca del III Reich con quella italiana e lo fece dopo aver disinnescato un potente ordigno che i tedeschi avevano lasciato collegato con un filo al pennone, pronto per esplodere.
Di lui l’amico Toni Carletto disse: «Fu sempre fedele ai suoi ideali: la parrocchia, il paese, la friulanità, l’amore per sua madre (che veniva dall’Istria). Ciò che spiccava in lui era la cordialità, l’apertura immediata con tutti. Godette la stima di ognuno che lo incontrava, e non dovette mai ripagare amicizie e simpatie con cedimenti del suo stile fatto di pulizia interiore. Non ci teneva alle tessere, aveva bisogno di uno spazio tutto suo, non per atteggiamento di fronda ma per ricchezza interiore. In ogni ambiente in cui entrava, lo riempiva di sé».
Nella prima consiliatura dopo la fine della Seconda guerra mondiale (1948-‘52), M. fu eletto nella lista della Democrazia cristiana a Gradisca d’Isonzo.
Il 14 giugno 1947 sposò Silvana Alborghetti e dal matrimonio nacquero i figli Gianni e Rita.
Fu insegnante di disegno nelle scuole medie di Gradisca e Fogliano, poi nel liceo scientifico di Monfalcone. Oltre che insegnante, fu un apprezzato artista e le sue opere si trovano un po’ ovunque in Friuli, alcune anche all’estero. La sua opera più importante è il monumento ai caduti partigiani che si trova nel cimitero di Gradisca.
Lasciato l’insegnamento, M. non smise mai di dipingere. Quando gli commissionavano un’opera d’arte, preferiva regalarla o chiedere un compenso simbolico. Questo suo atteggiamento era talmente risaputo che alle sue esequie l’officiante disse: «Non fece mai mercato della sua arte». Solo per fare un esempio, quando nel 1976 realizzò il restauro alla pala della Madonna della Porta a Gradisca, devolse il compenso al missionario gradiscano padre Luigi Gorian che operava in Cile.
Morì a Gorizia il 14 novembre 1986.