Nato a Capodistria, allora parte dell’impero austro-ungarico, il 28 ottobre 1905, Edoardo Marzari fu il primo dei cinque figli di Italo, orefice, e Luigia Dudine, crescendo in una famiglia di sentimenti italiani della media borghesia cittadina. Nella città natale frequentò le scuole elementari e il ginnasio-liceo. Dopo la fine della guerra, che portò all’annessione dell’Istria all’Italia, M. fu tra i principali animatori del gruppo «Damiano Chiesa» dell’Associazione scoutistica cattolica italiana (Asci) e del circolo «Fides» della Società della gioventù cattolica (Sgci), di cui fu nominato presidente; fu anche attore della filodrammatica parrocchiale «Giuseppe Buttinar». Il 17 luglio 1921 fu presente a Isola d’Istria al raduno dei giovani cattolici istriani nel corso del quale rimase ucciso, in uno scontro con le squadre fasciste, Giovanni Zustovich, della Sgci di Albona, che aveva rifiutato di farsi perquisire.
Dopo il conseguimento della maturità classica nel 1924, M. si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, che frequentò fino al 1928, senza tuttavia laurearsi. Fu però chiamato a insegnare filosofia e storia dell’arte al ginnasio del seminario minore di Capodistria, maturando nel frattempo la vocazione al sacerdozio.
Nel 1929 prese la decisione d’iscriversi all’Università Gregoriana, trasferendosi perciò a Roma, dove visse presso il Collegio Capranica a partire dal novembre di quell’anno; la prefettura di Pola, tuttavia, gli negò un sussidio economico per motivi di condotta politica. Neanche alla Gregoriana concluse gli studi, fermandosi al solo baccellierato in Teologia e Diritto canonico; non sostenne infatti l’esame di licenza, né completò la dissertazione. Ordinato sacerdote nel 1932, rientrò in diocesi nell’estate del 1935; il 16 novembre fu nominato vicario del capitolo del duomo di Capodistria e docente di filosofia nelle classi liceali del seminario.
Tra le prime iniziative che prese vi fu l’apertura, nei locali del seminario di Capodistria, di un ritrovo per gli studenti del liceo «Carlo Combi», che egli arredò con una ricca biblioteca e una sala giochi, organizzandovi dibattiti e conferenze d’approfondimento; per i ragazzi che frequentavano il ritrovo organizzò anche numerose attività ricreative quali gite in bicicletta, escursioni sul Carso e sulle Alpi Giulie, bagni marini, per i quali allestì un piccolo stabilimento balneare appena fuori le porte della città, acquistando anche una barca di dieci metri per le escursioni nel golfo. Nel 1936 il vescovo mons. Luigi Fogar, di lì a poco costretto alle dimissioni e a ritirarsi a Roma a causa delle crescenti pressioni e minacce dei fascisti, lo incaricò dell’assistenza spirituale degli universitari della Fuci e del Movimento Laureati, che curò nei locali dell’Azione cattolica di Trieste. Negli stessi anni, a Trieste, fondò anche l’Icas (Istituto cattolico per le attività sociali) e un Centro di cultura religiosa attorno al quale raccolse un gruppo di intellettuali che sarebbero divenuti la colonna portante della Resistenza democratica e della futura Democrazia cristiana triestina; dopo i primi tempi, infatti, la partecipazione fu estesa anche a uomini agnostici o lontani dalla fede.
All’inizio del 1938 l’amministratore apostolico delle unite diocesi di Trieste e Capodistria, l’arcivescovo di Gorizia mons. Carlo Margotti, gli affidò la direzione del settimanale diocesano «Vita nuova». Quale direttore, M. subì due volte il sequestro del giornale e numerose altre censure a causa delle critiche mosse al regime. Dopo il secondo sequestro, nel giugno 1939, il nuovo vescovo di Trieste-Capodistria, mons. Antonio Santin, lo sollevò dall’incarico; dopo alcuni mesi a Capodistria, dove continuò le sue attività coi giovani, fu nominato cooperatore nella parrocchia di Sant’Antonio Taumaturgo, nel centro di Trieste, assumendo l’insegnamento della religione presso il liceo «Dante Alighieri». Ricevute minacce, il vescovo spostò nuovamente M. nel piccolo centro rurale di Petrovia, in Istria, ai limiti meridionali della diocesi, dove rimase fino al 1942, per tornare poi all’insegnamento della filosofia al seminario di Capodistria. Nel 1942 fu anche nominato assistente diocesano della Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac). A partire dal 1943 riprese a scrivere su «Vita nuova» tenendo, con lo pseudonimo di Diogene, una rubrica di dottrina sociale della Chiesa intitolata Conversazioni con i lavoratori.
Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943, si costituì anche a Trieste il Comitato di liberazione nazionale, nel quale la Democrazia cristiana era rappresentata da Giovanni Tanasco, già segretario comunale del Partito popolare. Già nel dicembre di quell’anno, tuttavia, i suoi leader furono arrestati e deportati o uccisi. Nel giugno del 1944 fu chiesto a M., noto per le conferenze che teneva presso il Centro di cultura religiosa, di assumere la presidenza del ricostituito Cln della Venezia Giulia; consultatosi con il vescovo mons. Santin, accettò, per ragioni – spiegò – umanitarie, religiose e patriottiche. A fine giugno raggiunse Milano per prendere diretti contatti con il Cln dell’Alta Italia, grazie ai rapporti coltivati in particolare con Pietro Mentasti e Mario Ferrari Aggradi e con i religiosi dei Servi di Maria. Lì ebbe tre incontri con Alfredo Pizzoni. In autunno i comunisti triestini, dei quali ad agosto era stato arrestato e ucciso il leader Luigi Frausin, decisero di uscire dal Cln giuliano per unirsi al Fronte di liberazione sloveno.
La sera di giovedì 8 febbraio 1945 l’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza, avvertito da una delazione, arrestò M. nella sede dell’Azione cattolica, mentre preparava dei manifesti. Nel corso della notte fu lungamente interrogato, subendo la tortura con scosse elettriche. L’indomani fu consegnato alle SS e nuovamente interrogato: si assunse tutte le responsabilità, cercando di scagionare altri partigiani arrestati. Durante la carcerazione riuscì a scrivere alcune lettere alla madre e al vescovo, consegnate per tramite del cappellano don Luigi Carra, a sua volta fratello di Ernesto Carra, comandante della divisione «Domenico Rossetti», nella quale erano inquadrati i partigiani cattolici triestini. Mons. Santin si mobilitò per evitarne la deportazione in Germania scrivendo al ten. col. Schäffer, comandante delle SS della Zona di operazioni Adritisches Küstenland, nella quale i tedeschi avevano inquadrato la Venezia Giulia, sottraendola al controllo militare della Repubblica sociale italiana.
M. rimase prigioniero nella camera della morte delle carceri di Trieste fino al 29 aprile, quando fu liberato dalla brigata «Ferrovieri» guidata dal cattolico Mario Spaccini, futuro sindaco di Trieste. All’alba del 30 aprile 1945 M. diede il segnale dell’insurrezione della città, mediante il suono delle sirene della ditta Mann & Rossi, dov’era riunito il Cln. Gli fu portata una lista di fascisti e ufficiali italiani compromessi con i tedeschi, ma egli la stracciò. Quindi si recò alla prefettura nominando il prefetto e il questore provvisori.
L’indomani, 1° maggio, Trieste fu occupata dal IX Korpus d’armata dell’esercito jugoslavo; il 2 giunse in città anche un reparto neozelandese. Ricercato insieme agli altri membri del Cln, si nascose fino al 7 maggio nel convento delle Nobili dimesse, per raggiungere clandestinamente Venezia su un furgone mortuario militare alleato. Qui prese contatti con il comando militare inglese e con il Servizio informazioni militare italiano. Proseguì quindi per Roma, dove fu ricevuto da Ivanoe Bonomi e dal governo, illustrando la situazione della Venezia Giulia. Rimase a Roma fino al 12 giugno, quando raggiunse Trieste insieme alle truppe anglo-americane che, in base agli accordi di Belgrado del 9 giugno, subentrarono agli jugoslavi nell’amministrazione di Trieste.
Lasciata la presidenza del Cln, diede vita alla Camera del lavoro, di cui assunse la carica di segretario, alle Acli (di cui fu presidente dal 1946 al 1950), al Circolo della cultura e delle arti. Rifondò anche la Lega nazionale, l’associazione patriottica nata nel 1891 per la difesa dei diritti degli italiani d’Austria, e sciolta nel 1929. Nel frattempo partecipò come consulente alla delegazione italiana alla Conferenza di Parigi per la definizione del nuovo confine: fu nella capitale francese da maggio a luglio 1946.
L’iniziativa cui tenne di più fu però l’Opera Figli del popolo, che egli avviò per offrire assistenza ai bambini e ai ragazzi che raggiungevano Trieste come profughi dall’Istria sotto occupazione jugoslava. Per loro organizzò convitti per operai e studenti, corsi professionali, doposcuola, mense, servizi sanitari e numerose colonie estive in Carnia e nelle Dolomiti; da essa dipendevano la Gioventù coloniale, che organizzava le colonie estive, la Giovane montagna (poi Movimento amicizie giovanili), la Scuola di addestramento al lavoro «Achille Grandi», la Famiglia giovanile «Auxilium» per gli studenti universitari, che potevano usufruire del convitto «Semente nova». Si formarono nell’Opera e nei suoi satelliti molti futuri dirigenti politici triestini. Furono circa duemila, fino al 1953, i giovani accolti. Dall’esperienza dell’Opera Figli del popolo prese vita un interessante esperimento educativo. Nel 1950 nacque infatti la Repubblica dei ragazzi che, adottando il modello pedagogico dell’autogoverno d’ispirazione anglosassone, simulava la vita democratica di una repubblica, nella quale ciascun ragazzo ricopriva precisi incarichi. Quando, nel 1952, il vescovo propose di erigere l’Opera a ente di culto, anche per appianare dei contrasti nel frattempo sorti con le Acli, M. rifiutò, volendo mantenere l’istituzione libera dal controllo della Chiesa. Il contenzioso con mons. Santin esplose nel 1955, allorché egli lasciò la presidenza dell’Opera, recandosi per alcuni mesi a Roma, dove si rivolse alla Congregazione del Concilio, che riconobbe la legittimità delle sue posizioni.
Il 2 giugno 1956 M. fu insignito dell’onorificenza di commendatore al merito della Repubblica italiana. Nello stesso anno tornò alla direzione del collegio «Semente nova» e nel 1957 alla presidenza dell’Opera Figli del popolo, riappacificandosi con il vescovo. Morì improvvisamente il 6 giugno 1973.
Il 16 aprile 2004 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la medaglia d’oro alla memoria al valor civile.