Teresio Olivelli nacque il 7 gennaio 1916 a Bellagio, piccolo comune in provincia di Como, da Domenico e Clelia Invernizzi. Gli anni della sua fanciullezza furono caratterizzati da continui spostamenti dovuti alle difficoltà economiche della famiglia: dal 1921 al 1926 si trovò quindi a Carugo, poi a Zeme, luogo d’origine del padre dove O. frequentò le ultime classi elementari, e infine a Mortara, in provincia di Pavia. Fu in questa sua ultima tappa che decise di entrare a far parte del locale gruppo dell’Ac parrocchiale di S. Lorenzo, dove rimase per gran parte dei suoi anni di studio, fino al 1938. Fu incaricato dal parroco di Mortara, don Luigi Dughera, di occuparsi della formazione dei giovani della comunità, tenendo il doposcuola per i ragazzi più bisognosi. Nel 1932, visto il suo impegno, gli venne affidata la carica di delegato studenti, che mantenne per i successivi quattro anni. Nel 1938, ottenuta la tessera di Senior, entrò nelle fila del gruppo propagandistico della sottofederazione diocesana di Mortara. In questo periodo, inoltre, si iscrisse anche alla Società di San Vincenzo de’ Paoli, organizzazione caritativa cattolica, per rinnovare il suo impegno in ambito sociale.
Nel 1931, dopo aver frequentato il ginnasio Luigi Travelli a Mortara, O. raggiunse il fratello Carlettore, di quattro anni più grande, al liceo classico Benedetto Cairoli di Vigevano, dove nel 1934 decise di presentarsi all’esame finale indossando il distintivo di Ac, in un periodo in cui i contrasti in essere tra l’associazione e il regime rendevano molto teso il rapporto tra le parti e che sfociarono, solo quattro anni più tardi, nella cosiddetta «battaglia dei distintivi».
Di particolare importanza, nei suoi anni giovanili, fu la vicinanza allo zio Rocco Invernizzi, arciprete a Tramezzo, in provincia di Como, dal quale era solito passare normalmente le vacanze estive. Fu per O. una solida guida spirituale in ogni fase della sua vita, come dimostra l’ampia corrispondenza che i due intrattenerono. Terminato il liceo decise di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia. Nel 1935 venne ammesso, a titolo gratuito, al collegio universitario Ghislieri, guidato dal rettore Pietro Ciapessoni, figura fondamentale nella formazione di O. L’impegno dedicato alla scelta di una specializzazione in ambito accademico si protrasse dal febbraio al luglio 1936 quando si decise per il diritto amministrativo. Rimase nella struttura fino al conseguimento della laurea, ottenuta con il massimo dei voti il 23 novembre 1938, con una tesi dal titolo La concessione nella classificazione degli atti amministravi con speciale riguardo alla natura delle concessioni di pubblico servizio. Fece richiesta per una borsa di studio post laurea assegnata dal Collegio e, vinto il concorso, divenne assistente del suo relatore, il prof. Piero Bodda, presso la cattedra di diritto amministrativo dell’Università di Torino.
Nel 1936, a seguito dello scoppio della guerra civile in Spagna, O. si propose di partire come volontario per raggiungere le forze di Franco. Allo zio sacerdote scrisse: «O la fede è vissuta come conquista oppure è anemia di invertebrati. Nella cattolica Spagna, si combatte il Divino in noi, per vincere l’anti-Cristo, negazione dell’uomo e del Cristo. L’avvenire non appartiene ai molli. La vita è perfetta quando è perfetto amore». La decisione di restare a Torino, maturata dopo alcuni giorni di travaglio interiore, gli venne imposta dai suoi familiari e, in particolare, dallo stesso don Invernizzi, che lo dissuase con una lunga lettera e facendo leva sulla propria autorità spirituale.
Fu durante il suo percorso universitario che, mantenendo i suoi impegni con l’Ac di Mortara, si accostò alla Fuci iscrivendosi alla sezione Severino Boezio di Pavia, dove però non volle mai assumere cariche direttive che gli vennero a più riprese proposte, e dove partecipò alle attività sportive del Guf, praticando diverse discipline e segnalandosi particolarmente nell’alpinismo e nello sci.
In questi anni O. si avvicinò al fascismo, seppur mantenendo sempre un’impostazione critica, nel tentativo di plasmare un’ideologia che si legasse a doppio filo ai dettami della fede cristiana. «Nelle file fasciste non s’era pertanto venuto a trovare passivamente, portatovi da un predisponente atteggiamento della famiglia, o da un imbibimento subito da ragazzo o per influsso dell’atteggiamento concordatario dell’Azione cattolica cui apparteneva; vi era giunto consapevolmente, per autonoma elezione» (Caracciolo, 1947). La sua adesione era frutto, dunque, della volontà di modificare il fascismo dal proprio interno modellandolo in modo da renderlo più aderente ai valori del cristianesimo. Prese parte per due volte ai prelittoriali della cultura, vincendo quelli nazionali di Trieste del marzo 1939 che avevano come argomento principale il tema della razza. Egli, tuttavia, arrivò all’appuntamento con un’argomentazione che divergeva sostanzialmente con quello che veniva propagandato dal regime, inserendo nella classica nozione di unità biologica quella di identità culturale e nazionale e sostenendo dunque la priorità della realtà dello spirito su quella eminentemente biologica. Aveva infatti scritto allo zio, prima della sua partecipazione all’evento, «[…] Mi si pregò di tenere una relazione su “Romanità e razza”. Vedendo che era concessa libertà di opinione e pensando di poter rettificare certe idee, in una parola, fare opera cristiana, accettai a patto di essere del tutto obiettivo. E conclusi sulla sostanziale inesistenza in Roma del concetto di razza […]». Uscito vincitore dalla competizione venne insignito del titolo di littore e nominato rappresentante del partito nel Consiglio superiore della demografia e della razza presso il Ministero dell’Interno.
Data la sua partecipazione a convegni e conferenze in tutta Italia, venne notato e avvicinato da Camillo Pellizzi, presidente dell’Istituto nazionale di cultura fascista, che lo chiamò a lavorare presso la sede centrale a Roma, dove prese occupazione dall’anno successivo, come primo segretario ufficio studi e legislazione. Gli furono affidate, in questo ruolo, diverse attività di tipo tecnico e propagandistico. Vennero da lui curati gli studi preliminari della legge sull’industrializzazione del Mezzogiorno e alla sua penna sono da ascrivere numerosi articoli di taglio giuridico pubblicati nelle riviste più in vista del regime come «Libro e moschetto» e «Civiltà fascista». Nell’estate del 1939, dopo aver ottenuto una borsa di studio, partecipò a un corso di politica nazionalsocialista per stranieri presso la Hochschule für Politik a Berlino, dal 17 al 31 agosto. Tornerà nuovamente nella capitale tedesca nel febbraio del 1941, incaricato dal partito, per partecipare a un corso di politica sociale.
Nel 1940 O. venne nominato ufficiale degli alpini. Il 20 febbraio 1941, fedele ai suoi ideali, decise di arruolarsi nel regio esercito, rifiutando l’esonero che gli era stato concesso in quanto propagandista dei Guf e due giorni dopo fu inviato di stanza a Gorizia con un gruppo di fascisti universitari presso il 13° Reggimento di artiglieria alpina della Divisione Julia. Passò meno di un mese e venne trasferito ad Aosta, dove fu nominato allievo sergente e iscritto alla Scuola militare centrale di alpinismo, nel Battaglione Duca degli Abruzzi. Frequentato con successo il corso e nominato sergente, venne assegnato al I Reggimento di artiglieria alpina della Divisione Taurinense. Nel marzo del 1942, dopo aver frequentato un corso per ufficiali a Lucca ed essere stato nominato sottotenente, fu assegnato al II Reggimento artiglieria alpina a Merano, venendo quindi inserito nelle fila del Gruppo «Bergamo» 31ª batteria. Decise di mandare richiesta per essere inviato in Russia a seguito dell’Armir. Accettata la sua domanda e arruolato come sottotenente della Divisione alpina Tridentina venne spedito al fronte verso la fine di luglio e dovette partecipare alla tragica ritirata del gennaio 1943, alla quale sopravvisse, seppur attardandosi più volte nelle retrovie per assistere, trovare riparo ai feriti e dare degna sepoltura ai numerosi morti. Rimpatriò il 20 marzo 1943.
Prima di partire per la Russia O., su segnalazione del dimissionario Ciapessoni, decise di fare richiesta per partecipare al bando di concorso indetto per il ruolo di rettore al Ghislieri. Risultato vincitore mentre ancora si trovava al fronte, ottenne al suo ritorno tre mesi di licenza per aver la possibilità di occupare la sua nuova carica e definire un gruppo di collaboratori e la linea di gestione da adottare al collegio.
Non rimase per lungo tempo nel suo ruolo di rettore: a luglio 1943 fu infatti richiamato sotto le armi nel II Reggimento artiglieria alpina, di stanza a Vipiteno. Raggiunto dalla notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943, decise di rifiutare la chiamata di arruolamento nell’esercito della Repubblica di Salò che andava costituendosi e per questo motivo, il giorno successivo, fu deportato in Austria. Dal campo di Markt-Pongau, sito nel distretto di Salisburgo, riuscì a evadere, dopo diversi tentativi falliti, nell’ottobre dello stesso anno e, dopo un difficile cammino fino al confine, raggiunse il suolo italiano, entrandovi clandestinamente. Il 28 ottobre 1943 giunse a Udine, dove venne accolto dalla famiglia del dottor Ariis, persona fidata che gli era stata suggerita da un compagno di campo durante la sua prigionia austriaca, il dottor Nicoletti. O. stesso racconta questa parte della sua esperienza in una lettera al suo amico Giulio Tarroni in cui scrive: «Molte e fortunose le mie avventure. Preso al Brennero nell’ignominia dell’otto settembre, due volte fuggito, due volte ripreso. Da Hall nel Tirolo a Bronzolo sotto Bolzano, da Regensburg sul Danubio a Innsbruck. La terza, dalla regione di Salisburgo mi restituii all’Italia. Evaso il venti, giunsi a Udine a fine mese. Corsi monti e valli. Rimessomi in forma venni a Milano a mettermi a disposizione del Comitato di Liberazione Nazionale». La sua fuga sancì l’inizio della sua nuova vita da ribelle, inizialmente operante a Brescia, dove conobbe Astolfo Lunardi. Trasferitosi a Milano, riuscì a prendere contatti con il nascente Cln e per conto di esso coordinò le attività dei gruppi partigiani delle Fiamme verdi di Brescia e Cremona. Fu in questo periodo che strinse legami di collaborazione con Carlo Bianchi, Claudio Sartori e Enzo Petrini.
Quando, nel gennaio 1944, caddero a Brescia Lunardi e Ermanno Margheriti, O. divenne una delle personalità più importanti della Resistenza del nord Italia. Proprio insieme a Bianchi, conosciuto durante gli anni alla Fuci di Pavia, e Sartori, compagno al collegio Ghislieri, fondò la rivista «Il Ribelle», foglio clandestino di collegamento tra gli esponenti della resistenza cattolica, che vide la prima uscita il 5 marzo 1944. Sul periodico contava di promuovere i valori della Resistenza e «una libera sana profonda cultura, campo di intransigente moralità». Poté tuttavia partecipare alla redazione dei soli primi due numeri, nei quali sviluppò il primo manifesto programmatico della rivista e la nota Preghiera del ribelle. Sul secondo numero O. scriveva: «[…] Siamo dei ribelli: la nostra è anzitutto una rivolta morale. […] La nostra rivolta non data da questo o quel momento, non va contro questo o quell’uomo, non mira a questo o quell’uomo, non mira a questo o quest’altro punto del programma – è rivolta contro un sistema e un’epoca, contro un modo di pensiero e di vita, contro una concezione del mondo. Mai ci sentimmo così liberi come quando ritrovammo nel fondo della nostra coscienza la capacità di ribellarci alla passiva accettazione del fatto brutale, di insorgere contro il bovino aggiogamento allo straniero, di risorgere a una vita di intensa e rischiosa moralità […] Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere largita dagli altri. Non vi sono “liberatori”. Solo, uomini che si liberano».
Alle ore 12 del 27 aprile 1944, in seguito a delazione, O. venne arrestato in piazza S. Babila a Milano dalla polizia fascista insieme a Bianchi. Gli vennero trovate addosso diverse copie della rivista da lui condotta e un’ingente quantità di documenti contraffatti a favore di ebrei e partigiani. Condotto al carcere di S. Vittore, dove dovette subire un duro interrogatorio e torture di ogni genere, venne infine posto in isolamento in attesa della definitiva condanna a morte. Grazie all’intervento dell’arcivescovo Ildefonso Schuster riuscì a evitare il plotone di esecuzione ma, il 9 giugno, venne trasferito al campo di concentramento sito a Fossoli, in provincia di Modena.
Quando, il 12 luglio, nel campo dovettero essere designati settanta uomini da fucilare per rappresaglia, il suo nome fu inserito nella lista dei prescelti, insieme a quello di Bianchi. Riuscì a sottrarsi alle mani dei suoi aguzzini grazie all’aiuto di Odoardo Focherini, nativo del posto, ma non ad allontanarsi dal luogo di prigionia, dovendo dunque rimanere nascosto in un magazzino in attesa di una nuova possibilità di evasione. Venne scoperto il 5 agosto dalle forze nazifasciste che avevano il compito di sgomberare il campo e fu duramente percosso e trasportato a Bolzano-Gries. Qui gli venne assegnato, oltre al consueto triangolo rosso distintivo dei prigionieri politici, anche un singolare disco rosso cerchiato di bianco, a segnalare coloro che avevano in precedenza tentato la fuga e dovevano essere quindi soggetti a un controllo rigoroso.
Il 4 settembre 1944 O. venne nuovamente trasferito e condotto al campo di lavoro di Flossenbürg. Sfruttando la sua conoscenza della lingua tedesca, si offrì di lavorare come interprete e si mise a disposizione delle SS, ricevendo in cambio una piccola razione di cibo supplementare che decise di distribuire a chi ne avesse maggiormente bisogno, attirando così su di sé le punizioni dei guardiani. Mettendosi in evidenza agli occhi degli ufficiali tedeschi per spirito di iniziativa e capacità organizzativa venne destinato al servizio burocratico all’interno del lager, mansione che solitamente permetteva una certa garanzia di non essere trasferiti e quindi una maggiore possibilità di sopravvivenza. Pur potendo contare su tale assicurazione, decise di seguire in maniera volontaria il gruppo di italiani che erano stati designati per raggiungere il sottocampo di Hersbruck. Tra i tanti internati con cui condivise quest’ultimo viaggio vi era anche Focherini. Giunto nel nuovo campo riprese la propria attività di interprete, dovendo subire sempre più spesso le percosse dei guardiani che non gli perdonavano la sua volontà di difendere i più deboli. Proprio per questo, alla fine di ottobre, fu mandato alcuni giorni in una compagnia di disciplina a scontare l’accusa di aver troppo palesemente sostenuto i diritti dei prigionieri nella distribuzione della zuppa e di aver tentato di impedire che alcuni dei prigionieri venissero brutalmente malmenati.
Il 31 dicembre 1944, pur essendo gravemente deperito, decise di difendere un giovane compagno di prigionia ucraino dalle bastonate di un kapò polacco, ricevendo per questo un violento calcio all’altezza dello stomaco, al quale si aggiunsero 25 gommate. Cominciò per O. una lunga agonia che si concluse solamente il 17 gennaio 1945 in cui, dopo aver consegnato le sue ultime vesti intatte al compagno di prigionia Salvatore Becciu, morì nell’infermeria del campo. Il suo corpo fu cremato e le ceneri disperse.
Nel 1953 venne conferita a O. la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la qualifica di partigiano combattente, con la seguente motivazione: «Ufficiale di complemento già distintosi al fronte russo, evadeva arditamente da un campo di concentramento dove i tedeschi lo avevano ristretto dopo l’armistizio, perché mantenutosi fedele. Nell’organizzazione partigiana lombarda si faceva vivamente apprezzare per illimitata dedizione ed indomito coraggio dimostrati nelle più difficili e pericolose circostanze. Rendeva eminenti servizi anche nel campo informativo ed in quello della propaganda. Tratto in arresto a Milano e barbaramente interrogato dai tedeschi, manteneva fra le torture esemplare contegno nulla rivelando. Internato a Fossoli tentava la fuga. Veniva, così, trasferito prima a Dakau [sic!] poi a Herzbruk [sic!]. Dopo lunghi mesi di inaudite sofferenze trovava ancora, nella sua generosità, la forza di slanciarsi in difesa di un compagno di prigionia bestialmente percosso da un aguzzino. Gli faceva scudo del proprio corpo e moriva sotto i colpi. Nobile esempio di fedeltà, di umanità, di dedizione alla Patria. Lombardia-Venezia Tridentina-Germania, settembre 1943 – primi giorni del mese di marzo 1945».
Il 29 marzo 1987 nella diocesi di Vigevano è stata aperta l’inchiesta diocesana ai fini della canonizzazione di O. Dopo varie fasi intermedie, caratterizzate in particolar modo dall’incertezza dovuta dalla volontà di seguire in parallelo il percorso delle virtù eroiche e quello della morte in odio alla fede, il 14 marzo del 2004 venne nominato postulatore mons. Paolo Rizzi. La Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis fu approvata dalla consulta storica nel maggio del 2011, ottenne giudizio positivo dalla Congregazione ordinaria delle cause dei santi nel dicembre 2015 e, infine, il 14 dicembre dello stesso anno quello definitivo di papa Francesco che autorizzò la promulgazione del Decreto sull’eroicità delle virtù, concedendo a O. il titolo di venerabile. Il 16 giugno 2017 lo stesso papa Francesco, riconoscendo la morte in odium fidei, ha dato il suo assenso al decreto con il quale se ne decretava il martirio. Il 3 febbraio 2018, dunque, O. è stato proclamato beato a Vigevano, in provincia di Pavia, dal cardinale Angelo Amato.