Sabatucci Francesco

Francesco Sabatucci
Immagine: Storia e memoria di Bologna
Nome: Francesco
Cognome: Sabatucci
Nome di battaglia: Cirillo
Luogo di nascita: Bologna
Data di nascita: 22/02/1921
Luogo di morte: Padova
Data di morte: 19/12/1944
Ramo di Azione cattolica:

Sommario

Note biografiche

Francesco Sabatucci nacque a Bologna il 22 febbraio 1921 da Umberto e Maria Vanzini. Cresciuto in una famiglia di modeste condizioni economiche e di sentimenti antifascisti, attese agli studi medi e superiori nella città natale.

Terminato il liceo e ottenuto il diploma, si trasferì insieme ai genitori a Roma dove il padre Umberto era stato destinato per lavoro e, nella capitale, si iscrisse alla Facoltà di Magistero dell’Università La Sapienza. Fu durante questo periodo che decise di iscriversi al circolo Fuci presente nell’ateneo capitolino e prese parte alle sue attività. Chiamato alle armi nel marzo 1941 mentre l’Italia era impegnata nei diversi fronti aperti durante la II Guerra mondiale, fu ammesso al corso preparatorio di addestramento. Promosso al grado di sergente, fu inviato a frequentare la scuola allievi ufficiali di complemento di cavalleria presso Pinerolo. Al termine del periodo di formazione, quindi, venne nominato sottotenente di cavalleria e assegnato al battaglione San Marco del reggimento corrazzato Lancieri di Vittorio Emanuele II di stanza in Dalmazia.

La notizia della firma dell’armistizio di Cassibile lo raggiunse mentre si trovava a Spalato e, in una lettera inviata alla madre nell’immediatezza degli eventi, ebbe a evidenziare tutto il suo travaglio che contrastava con l’entusiasmo di tanti che, in quel momento, avevano la speranza che la guerra fosse finita: «Quando la sera dell’8 settembre seppi che l’Italia aveva firmato l’armistizio con gli anglo-americani, la prosa equivoca del comunicato mi fece subito capire che il nostro nemico sarebbe stato automaticamente l’esercito tedesco. La mia umiliazione di italiano fu ancora più cocente giacché la notizia mi fu portata da Nava, un’inflessibile partigiana comunista che, pur comprendendo appieno il mio dolore, non mi volle risparmiare la frecciata: “tocca ora a voi italiani soffrire quello che noi jugoslavi abbiamo sofferto nel 1941”». A quanti si esprimevano in manifestazioni di giubilo per quella che appariva come la possibile conclusione del conflitto disse: «La parte più dura della guerra per noi comincerà stanotte. Siamo tagliati fuori dalla nostra terra. Tutti dimenticheranno la nostra presenza in questi luoghi bagnati dal sangue di tanti nostri compagni».

Rifiutatosi fin da subito di consegnare le armi ai tedeschi, il 12 settembre si spostò con la sua compagnia a Dubrovnik, dove fu catturato dai tedeschi dopo aver approntato una effimera resistenza. Riuscito a fuggire dal convoglio che lo stava conducendo in un campo in Germania, entrò nelle file partigiane iugoslave, combattendo con esse fino all’ottobre 1943 e distinguendosi nel ruolo di istruttore e comandante di un reparto di carristi. Nel novembre dello stesso anno, riuscito a rimpatriare, si unì ai gruppi partigiani operanti nelle zone di Bologna e di Reggio Emilia. Ben presto, però, S. si ritrovò nel gruppo di quelli che, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, si videro trasferiti dai comandi della Resistenza emiliana nella zona sotto la giurisdizione del Cln di Padova, nelle Prealpi bellunesi. Lo spostamento di un folto gruppo di uomini rispondeva alla necessità di diminuire in maniera drastica il numero delle bande partigiane operanti nell’Appennino per non rischiare di dar avvio a una vasta campagna di rappresaglia sulla popolazione da parte delle forze nazifasciste.

Giunti a destinazione, il gruppo di partigiani provenienti da Bologna si organizzò nella divisione Nannetti che, fino alla liberazione, operò nelle valli del Mis e di Mesazzo, spostandosi poi nel Vajont e sull’Altipiano del Cansiglio. S. si aggregò al distaccamento Tollot, che operava sul Col Visentin e, dopo poche settimane, si trasferì nell’alto Trevigiano dove si inserì tra le fila della brigata garibaldina Mazzini. Assunto il nome di battaglia di «Cirillo», si distinse a più riprese per l’intraprendenza dimostrata in battaglia e per le sue capacità di comando, tanto che fu designato per assumere il controllo della brigata.

Nel luglio del 1944 portò a termine l’operazione che gli fece meritare la nomina di comandante di battaglione. Al comando di un esiguo manipolo di compagni, il giovane riuscì a disarmare la guarnigione formata da militi cecoslovacchi presso il ponte della Priula, località in provincia di Treviso presso Susegana, e a far saltare lo strategico viadotto ferroviario che era stato più volte obiettivo dell’aviazione alleata che lo aveva bombardato senza successo. A questa azione, comunque, fece corrispondere il suo attivismo in diverse operazioni belliche che culminarono nella conquista della zona a nord del Piave e anche un alto senso di onore e rigore morale, che lo portò a neutralizzare la banda del Min che, nel Cansiglio, pur affiancando i partigiani, agiva in modi che contrastavano con i valori della Resistenza, perpetrando furti e rapine ai danni dei civili. In una nota diretta ai suoi uomini ebbe a tratteggiare le regole per una giusta disciplina: «Molti partigiani hanno il difetto di non avere norme disciplinari precise. Il Tribunale partigiano deve cominciare a funzionare in ogni reparto. Ogni garibaldino con una circolare interna deve sapere che: 1° Il furto di qualsiasi genere e di qualsiasi entità viene punito con la pena di morte. 2° L’ubriachezza viene punita con la pena di morte. 3° L’abbandono della formazione senza giustificato motivo e senza autorizzazione viene punito con la pena di morte».

Nel novembre dello stesso anno gli venne richiesto di spostarsi in provincia di Padova, dove, con il nuovo nome di battaglia di «Franco», assunse il comando della brigata Garibaldi «Padova», duramente provata dall’ampia opera di rastrellamento condotta dalle forze nazifasciste, alla quale diede da subito una «riorganizzazione dei reparti» e un generale «riassetto dei quadri», che comprese la ridefinizione degli uomini alla guida del gruppo. S., inoltre, mise gran parte del suo impegno nel tentativo di mantenere un buon rapporto con la popolazione, soprattutto quella contadina, che rischiava azioni di rappresaglia a causa dell’aiuto dato alle formazioni della Resistenza. Nell’appello clandestino rivolto ai compagni della brigata scrisse: «I miei sono consigli da compagno esperto e vorrei che fossero presi in considerazione giacché sono passati al vaglio di molti errori e molte lotte […]. I partigiani migliori devono far comprendere, con il proprio esempio, il significato della lotta. Il patriota deve avere disciplina, coscienza di lotta, fede nell’ideale di libertà e abitudine al rischio. La Resistenza è la lotta decisiva per la libertà degli italiani, nella quale bisogna impegnarsi direttamente, in prima persona, senza risparmio, lottando senza tregua. La Resistenza deve essere affrontata con coraggio, anche a costo della vita».

Dopo aver reso nuovamente operativa la formazione, volle definire le condizioni per una nuova offensiva contro gli occupanti che però non ebbe tempo di portare a compimento. Il 19 dicembre, mentre si trovava in città per incontrare alcuni esponenti del Cln padovano, fu tradito dal suo intendente Cesare Broggin che ne aveva rivelato identità e posizione nel corso di un duro interrogatorio condotto dalla banda di Mario Carità. S. fu così attirato in una imboscata nei pressi di Prato della Valle dove lo aspettavano tre militi fascisti. Resosi conto della trappola, tentò una fuga repentina ma venne raggiunto in via Configliachi e colpito da una scarica di arma da fuoco che lo lasciava esanime a terra. Qualche giorno prima di morire, forse pronosticando la sua fine, aveva mandato una lettera alla fidanzata nella quale, tra l’altro, scrisse: «Forse quando tu leggerai queste righe io non ci sarò più. Eppure mai mi sono accinto a scrivere qualcosa con tanta tranquillità e serenità come oggi. È la prima volta che prendo in considerazione la possibilità di una mia morte violenta. […] Tu sai con quanta decisione ho sempre tentato di realizzare i miei ideali, senza mai lesinare nell’offerta di tutto me stesso. La nostra vita è troppo povera cosa se non è sostenuta efficacemente da un’idea seguita fino in fondo. Sono morto bene, stanne certa, dando tutto fino all’ultimo attimo… Senza temerla quella morte». In ricordo della sua attività a favore della Resistenza, la brigata Padova assunse il suo nome.

Alla memoria di S. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di sottotenente di complemento della cavalleria e partigiano combattente con la seguente motivazione: «Partigiano fra i primi, eccelse per valore e sprezzo del pericolo. Con soli sette uomini, dopo avere catturato le sentinelle, fece brillare le mine da lui deposte al ponte della Priula, danneggiandolo gravemente. Comandante della Brigata “Mazzini” tenne fronte con il suo reparto per ben 5 giorni all’attacco massiccio sferrato da schiaccianti forze avversarie. Sganciata la Brigata, la guidava superbamente in altri combattimenti. Fatto prigioniero tentava di evadere, ma cadeva colpito a morte dal piombo nazifascista. Luminoso esempio di sacrificio e di suprema dedizione alla causa. Ponte della Priula – Padova, 19 dicembre 1944».

Onorificenze

Partigiano fra i primi, eccelse per valore e sprezzo del pericolo. Con soli sette uomini, dopo avere catturato le sentinelle, fece brillare le mine da lui deposte al ponte della Priula, danneggiandolo gravemente. Comandante della Brigata “Mazzini” tenne fronte con il suo reparto per ben 5 giorni all’attacco massiccio sferrato da schiaccianti forze avversarie. Sganciata la Brigata, la guidava superbamente in altri combattimenti. Fatto prigioniero tentava di evadere, ma cadeva colpito a morte dal piombo nazifascista. Luminoso esempio di sacrificio e di suprema dedizione alla causa. Ponte della Priula – Padova, 19 dicembre 1944.

Fonti e bibliografia

  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4.
  • Alessandro Naccarato, Francesco Sabatucci, Umberto Zampieri (a cura di), La Resistenza a Padova: protagonisti, lotte, storie, Il Poligrafo, Padova 2009, pp. 41-59.
  • Giuseppe Gaddi (a cura di), Francesco Sabatucci (Cirillo-Franco), Anpi, Padova 1975.
  • Francesco Sabatucci: il partigiano Cirillo-Franco comandante della brigata Garibaldi Padova, a cura della Federazione provinciale dei Democratici di sinistra di Padova Enrico Berlinguer; Centro studi Ettore Luccini, Padova 2003.

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